Come le mosche

Domenica scorsa un poliziotto ammazza un tifoso di calcio. Mai avuta particolare simpatia nè per l una nè per l’ altra categoria.

Mi capita, tuttavia, di chiedermi quante persone abbiano realmente compreso la modernità intrinseca di questo gesto. Quanti abbiano capito che, un colpo a braccia tese che buca la testa di un ragazzo sia in realta una sorta di axis mundi attorno a cui si consuma il circo dell’ iper modernità.

Per capire quanto di tragicamente inevitabile ci sia in questo evento forse gioverà ricordare precedenti, volti, corpi e memorie di tutte le altre vittime.

Gabriele Sandri non è sicuramente il primo morto di polizia: secondo il "Centro d’ iniziativa Luca Rossi" si possono rilevare, nel periodo che và dal 1975 all 89, circa 254 morti e 371 feriti ad opera delle "forze dell ordine". Una più recente "inchiesta" del Manifesto rileva, nel periodo 98-2007, circa 21 morti correlate ad un fermo di polizia.

Per quanto ventun morti in nove anni possano già sembrare una cifra preoccupante, a mio avviso, l inchiesta del manifesto è incompleta: manca di conteggiare alcuni episodi significativi come la morte di Abder Hemane Kihalafa , quella di Carlo Giuliani ( perche poi ? ), il gravissimo ferimento del writer Rumesh e, soprattutto, non conta i morti di galera e questi sono tanti.

In soli 7 anni (2000-2007) possiamo rilevare circa 1200 morti in galera: di questi 400 circa sono suicidi (o presunti tali) e molte sono le morti in condizioni poco chiare. Qui la casistica abbonda andiamo dai suicidi di Sole e Baleno alla morte di Marcello Lonzi alla morte di Aldo Bianzino. Mi fermo qui coscente di ignorare un infinità di casi.

Cose che succedono mi si dirà: i poliziotti sono uomini ed in quanto tali sbagliano, vuoi la tensione, vuoi l inesperienza, vuoi sassi che deviano proiettili. Verissimo ma allora perchè a nessuno di questi casi corrisponde un inchiesta giudiziaria ?

Anche questo non è corretto; ad essere onesti un inchiesta giudiziaria e relativo processo ci sono stati: a carico di Ivan Liggi, che nel 1997 ammazza Giovanni Pascale, un automobilista che non si ferma all’alt. Nel 2004 verrà condannato a nove anni e cinque mesi per omicidio volontario, in sentenza definitiva. Ma non li farà perché si raccoglieranno 13mila firme per la sua grazia , che Napolitano firmerà.

Sarebbe facile trattare il fenomeno come l’ ennesima deriva di quella democrazia italiana eternamente incompiuta, ma in questo caso, non credo sia possibile farlo. Guardando in giro per il mondo possiamo renderci conto di quanto, l’ omicidio poliziesco in una condizione di impunita, sia universalmente diffuso.

Abbiamo ad esempio tutta una serie di horror stories a stelle e strisce: le statistiche sull uso del taser, gli omicidi razzisti del nypd o l ultima storia di abusi ed incompetenza proveniente dal Canada . Mi fermo qui ma potrei procedere ad nauseam.Il mio scopo non e quello di elencare tutti i morti di polizia; per quelli non basterebbe un quaderno intero, mi piacerebbe solo sollevare dei sospetti e ritornare alla domanda iniziale. Quanto c’è di moderno in questi fatti?

Quanto l’ omicidio di marginali, da parte della polizia rappresenta una pratica diffusa e funzionale al mantenimento di un determinato ordine semantico?

Che avvenga con premeditazione, per distrazione, impreparazione o con sadismo non ci importa; ci preme, invece, notare come la stragrande maggioranza di questi casi passi sotto silenzio giudiziario; come se non si trattasse di persone ma di mosche. Schiacciare una mosca non crea problemi di coscienza, non solleva dibattiti semplicemente si ammazza e basta.

Allora viene lecito farsi un altra domanda: com’ è possibile che ci siano persone, interi settori della società o interi popoli che sempre di più assomigliano a mosche ?

La risposta sta, forse, nella precarietà: nella necessità di conformare le nostre biografie agli stimoli di una razionalità economica e alle sue promesse di felicità oramai ampiamente egemoni.

Il capitalismo nella sua incarnazione attuale incarna un desiderio utopico di "sicurezza", da realizzarsi attraverso i due pilastri del lavoro e del consumo. Tuttavia, il progetto antropopoietico del capitalismo ha gli stessi difetti dei suoi predecessori: teoricamente rasenta la perfezione ma la realtà lo coglie impreparato, inadempiente a quelle stesse promesse di felicità che costituiscono la sua ragion d’ essere.

Questa crisi ideologica è presto risolta con un rozzo quanto efficace sillogismo: se la teoria, corretta per definizione, non si verifica la colpa è della realtà che non vi si conforma.

Il reale, il "mondo della vita" viene privato di tutto quel senso che non conferma a priori la teoria dominante. Nulla di particolarmante nuovo: dai kulaki ai writers, dalla vittoria mutilata ai rumeni le logiche e le retoriche rimangono simili.

Allora, se solo ciò che ha ragion d’ essere in ambito economico costituisce la realtà, tutto cio che esula da questo rappresenta un perturbante da eliminare ad ogni costo.

L’ eliminazione, fisica o sociale, del marginale diventa semplice nel momento in cui, ai volti e alle storie dei morti ammazzati si sostituiscono le categorie: sicurezza, disagio, degrado. Le categorie non grondano sangue, non hanno lividi semplicemente spariscono.

Come mosche

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