Che ognuno abbia almeno uno scheletro nell armadio è cosa scontata. Personalmente il mio è la sociologia, lo confesso sono colpevole. C’è chi si buca, io passo la mia vita sui libri e quel che è peggio, è che mi piace. Mi piace perchè credo che conoscere le cose sia un modo per combattere le storture della società; ma, forse,ancor di più mi piace perche offre un veicolo istituzionale per esercitare il mestiere più bello del mondo, quello di rompicoglioni.
Il mestiere del rompicoglioni è fonte di piaceri raffinatissimi; al vertice dei quali si può situare la libidine assoluta di tritare i cosiddetti a professori, sacerdoti ed autorità varie. Animato da questo spirito di rispetto e reciproca volonta di dialogo mi imbatto nel capoccione tirato a lucido di Ilvo Diamanti. il Nostro, dal suo pulpito su Repubblica, ci informa che i giovani sono una specie in pericolo.
Grazie della precisazione, da ‘ste parti ce ne eravamo accorti già da un pò. In ogni caso, anche se ribadisce l’ ovvio, ogni voce in più è la benvenuta. Peccato che il professor Diamanti poi predichi bene e razzoli male. Tutto inverforato dalla democratica e progressista autocritica che chiude l’ articolo si sente in dovere di correre al riparo, ricostruendo quelle gerarchie etiche che una tale affermazione "rivoluzionaria" avrebbe "messo in crisi".
Il registro è ovviamente il solito, tragicomico, copione dell autorità morale che, pure se condita di progressismo, in definitiva rimane sempre la stessa solfa: macchiettistica se va bene, assassina se va male. Il professor Diamanti, partendo dall ennesimo fatto di cronaca, ci informa, cannibalizzando un po di Augè, che Urbino è letteralmente stata occupata da studenti che: "sono "popolazione" di passaggio. Non hanno radici locali. Né la prospettiva di restarvi per la vita. Pagano affitti alti per un appartamento condiviso con altri studenti. Non lo possono percepire come "casa propria". Case, strade, piazze: per questi giovani di vent’anni, "lontani da casa", sono uno "scenario". Dove trascorrono il tempo, dopo lo studio. E si divertono senza responsabilità.".
Questo impietoso ritratto continua con altre pennellate da maestro: "I giovani. Lontani dalla famiglia, dalle istituzioni, dalle regole. In un ambiente dove le occasioni di "evasione" sono diffuse; dove i "limiti" si perdono. Sono più vulnerabili. Esposti a momenti di depressione. Solitudine. D’altronde, sono studenti.".
Il Nostro chiude la sua "sferzante" critica con la peggiore retorica paternalista:"Queste "città universitarie": non sono città. I quartieri studenteschi delle medie e grandi città. Non sono quartieri. Sono "zone senza sovranità". Senza autorità. Senza comunità. Un po’ centro commerciale, un po’ villaggio turistico, un po’ "pub diffuso". Verrebbe da evocare quelli che Marc Augé definisce i "non-luoghi". Ma ci sembra improprio. Perché questi "luoghi" hanno un’identità e radici storiche profonde. Solo che i "nuovi" residenti ne sono estranei. Peraltro, si tratta di ambiti dove le persone intrattengono relazioni fitte. Ma, perlopiù, temporanee, poco impegnative. Meglio, allora, parlare di "luoghi apparenti", popolati da una "gioventù apolide". "Città artificiali" in cui cresce una generazione di "non-cittadini".
credo che il professor Diamanti si sia un pò pentito di questi concetti che, oggettivamente, non mi riesce di definire in altro modo se non "puttanate". Che il nostro abbia un po troppo calcato la mano appare evidentemente nell articolo pubblicato oggi, come dire a volte le vagonate di insulti a mezzo rete producono qualcosa.
In ogni caso, pseudo-scuse a parte, permangono tutta una serie di problemi.
In primo luogo come sia possibile che gli anni di studio e i soldi delle tasse spesi dalla collettività per formare un ordianrio di scienza politica producano una versione glocale della sempreverde paternale. Per sentirmi dire che sono un "drogatoperdigiornocapellone" bastava fare un salto al bar dei vecchi sotto casa. Non c era bisogno di scomodare il povero Augè e soprattutto non c’ era bisogno di pagare nessuno. Al di là dell ironia da giovinastro, credo che l articolo di Diamanti sia molto pericoloso. non credo infatti che decidere chi o cosa appartiene ad un dato luogo non sia una pratica consona ad un sociologo. la retorica della non-appartenenza è un discorso che vedo bene nelle sedi della lega nord o della fiamma tricolore, non certo un genere di sapere che voglio sia diffuso a mezzo stampa da uno dei politologi piu prestigiosi d’ italia.
Se Diamanti alzasse la sua nobile capoccia da sondaggi iard, eurobarometro et similia, si renderebbe certamente conto che non esiste nessuna popolazione al mondo che non informi di sè un luogo, che non lo riempia con le sue pratiche, con le sue gerarchie valoriali e politiche, con la sua cultura.
Definire la popolazione x o y come una "non-comunità" necessaria di essere raddrizzata dall Autorità oltre ad essere politicamente aberrante è un nonsenso scientifico che puzza di colonialismo. Se diamo per assunto l’ eticità della cultura ed implichiamo la possibilità di comunità di serie B, senza cultura e senza responsabilità ci mettiamo nella pericolosa posizione di dover "formare" una gerarchia di "popolazioni" in base alla conformità ad uno standard che, inevitabilmente finirebbe per assumere lo studioso come apice.
Al di là delle disgustose implicazioni politiche di questa forma di sapere c’è un problema scientifico: se è possibile tracciare una gerarchia di culture allora diventa ampiamente possibile, anzi auspicabile immaginare una giovinezza senza i giovani ad escusivo uso e consumo dei cinquantenni, che poi vadano ai concerti dei beatles o siano ordinari di scienza politica poco conta.
Credo che Diamanti nella redazione di quell articolo sia stato un po troppo preso dal seguire la sua "bussola" su Repubblica.
se le scienze umane sono un viaggio la bussola è uno strumento che all interno dell universo sociologico dovrebbe avere ben poca cittadinanza: è arrogante, pretende di sapere sempre di sapere dove sta il nord ma, a conti fatti, non ci dice nulla dei territori che stiamo attraversando, si limita a riconfermarci le nostre idee.
Se la sociologia è un viaggio che deve rendere conto della complessità dei territori attraversati allora capite benissimo che non possiamo perder troppo tempo con cartine, bussole e barometri, con gli occhi chini sulla cartina ci perderemmo per strada tutta la meraviglia.